A tutti capita di vivere momenti in cui le relazioni si
sovrappongono a quella che per molti (e per la nostra società, per la “Chiesa”,
per la famiglia....) è la vita.
Per vita intendo il "modello" che ci viene proposto: ... asilo, riuscire a scuola... anni... tutta la trafila,
e durante magari fare sport giocando (più o meno) in qualche squadra, lavorare o andare
all’Università (o tutt’e due… insieme) e poi… entrare nel mondo dei “grandi”.
E qui, un lavoro, meglio se fisso.
Una compagna/o. Molto spesso, ahimè, perchè è giusto e non perchè "è Lei/è Lui". "Ma va bene. Ormai ho una certa età."
Amici, boh, si… con calma. (Forse qualcuno lo abbiamo perso o lo perdiamo
per strada, per la nostra miopia?)
Una casa. Grande abbastanza.
Figlio/i, cane, gatto… giardino.
I più fanno lavori finalizzati alle necessità (spese,
sopravvivenza).
Quelli fortunati, fanno il lavoro in cui credono, o magari
quello per cui hanno studiato. (In Italia, gran pochi). (... oops... piccolo schizzo di veleno, scusate.)
E poi... pensione.(... o tirare a campare).
Tv, (.. michia c'è SKY...), a volte qualche hobby, se la vita non ti ha tolto la
possibilità di averli, oppure rimanere alla finestra di una vita fatta di giorni uguali, dove la visita di un figlio è l'evento della settimana. Attesa.
E’ ci sono dei momenti nella vita nei quali, immerso nella frenetica corsa
che ti porta verso la vecchiaia, ti trovi a scegliere vie alternative.
A volte
magari scegli che la "carriera" il “consolidamento” della
posizione sia l’unico obiettivo che devi e vuoi avere... "Perchè con la sicurezza economica ho tutto" "magari essere benestanti non porta la felicità, ma aiuta"....
E quindi spendi tempo, energie emotive e fisiche in maniera smisurata.
Lasciandone poche, quasi niente per quella parte dentro di te che si chiama emotività.
Scegli in maniera assoluta. Perchè "è il momento". E poi, a volte, inebriato dal turbinio di novità, di segnali che l’esterno ti manda, maturi una “sete”, un bisogno di stimoli esterni, mai soddisfatto.
E quindi spendi tempo, energie emotive e fisiche in maniera smisurata.
Lasciandone poche, quasi niente per quella parte dentro di te che si chiama emotività.
Scegli in maniera assoluta. Perchè "è il momento". E poi, a volte, inebriato dal turbinio di novità, di segnali che l’esterno ti manda, maturi una “sete”, un bisogno di stimoli esterni, mai soddisfatto.
E così vivi di esterno, di input che l’ambiente,
gli amici di lavoro, i colleghi, i media… ti danno, e che divori, mai sazio. (Ovvio che un lavoro serve per vivere, ma non sto parlando di questo caso).
La questione non credo sia: “è giusto
o sbagliato?”.
Penso che la questione sia: cosa comporta? Chi sarò domani?
Ma è tutto qui?
Davvero e’ tutto qui? Cioè l’obiettivo di una vita può
essere scritto fra le righe qui sopra?
Forse si. E forse no. Per qualcuno è giusto. Per qualcuno
no.
Io ho imparato (perché l’ho vissuto) che chi pensa solo al
lavoro, molte volte nasconde una parte di se.
Quella profonda, dove è fragile. E dove ogni ferita provoca
un dolore e lascia una cicatrice.
E ogni volta che potresti “rischiare”, non lo fai. Perché
devi lavorare.
E ti costruisci una realtà. Ma molto spesso è una realtà, a
volte fasulla, che cambia da chi la racconta. E anche da chi “se” la racconta.
Hai paura. Questo è il blocco che chiude le porte. Magari qualcuna di queste paure te l'ha regalata la famiglia.
Paura di soffrire. Paura di lasciare o di perdere. Paura di perdere la libertà. Paura di non essere “adeguato”. Paura di "non essere" e perché no, anche di non essere "riconosciuto" in questa società che fa dell’immagine e della notorietà, un “valore”…fasullo come una reggia di cartapesta.
Paura di soffrire. Paura di lasciare o di perdere. Paura di perdere la libertà. Paura di non essere “adeguato”. Paura di "non essere" e perché no, anche di non essere "riconosciuto" in questa società che fa dell’immagine e della notorietà, un “valore”…fasullo come una reggia di cartapesta.
Io ho vissuto questa esperienza. Quella del lavoro. Non ho guardato in faccia a
ciò che perdevo (in realtà l’ho capito molto dopo) e dove non crescevo. Si. Una parte di me voleva diventare importante. E magari un po lo ero. Presidente di qua, delegato di la. Chi non lo ha mai pensato? Non è sbagliato, se non è assoluto.
E la vita (a volte succede) e mi ha riportato all’inizio.
E la vita (a volte succede) e mi ha riportato all’inizio.
Mi ha preso e infilato li. Dove le mie paure erano più
grandi. Dove per me era terreno inesplorato. Senza scarpe ne armatura. Certo,
si può chiedere aiuto. Se si è capaci di farlo. E puoi sempre scegliere la via
da prendere. Cambiare o no.
"A volte succedono cose che sono come domande. Passano minuti o anni e poi la vita risponde. (cit. Baricco)
"A volte succedono cose che sono come domande. Passano minuti o anni e poi la vita risponde. (cit. Baricco)
Se le paure guidano le tue azioni, probabilmente stai
perdendo qualcosa.
Di sicuro quando sei dentro a questo turbine non capisci che
quella parte che non fai vivere e che proteggi dai "rischi" è quella dove sperimenti e vivi i tuoi sentimenti e le tue emozioni, le tue relazioni,
la concretezza e le conseguenze delle tue paure... ed è quella che più di ogni altra può fare di te una persona unica e
forse con qualcosa da dire. Anche nella vita quotidiana.
Ma funziona solo se ci “giochi”. Non se “guardi” altri giocare.
Puoi avere bisogno e chiedere “amore” o “amicizia”, ma li avrai, forse, solo se li sai dare. E saperli dare, succede solo se ci provi.
Puoi avere bisogno e chiedere “amore” o “amicizia”, ma li avrai, forse, solo se li sai dare. E saperli dare, succede solo se ci provi.
E’ una parte che è come un albero cresce: esposta alle
intemperie, ai fulmini, alle siccità, alle alluvioni, al gelo.
E ogni taglio, come ogni lampo di felicità, costruiscono la persona che sei.
E ogni taglio, come ogni lampo di felicità, costruiscono la persona che sei.
E più ti metti in
gioco, più ti scopri e più rischi, più cresci. Comunque.
E più ti proteggi, ti chiudi o stai nascosto, più stai
fermo senza cambiare, senza alcuna evoluzione.
Non c’è giusto o sbagliato.
E non c’è regola.
C’è quello
che scegli e quindi quello che diventerai.
“Be', non è questo il fatto. Non è solo questione di
riuscire, o non riuscire. Perché c'è di più. Accettare un rischio è come
saltare da un dirupo, fare un balzo verso l'ignoto, senza avere la minima
garanzia. Alla fine tocca a te scegliere. Tu devi decidere come vuoi diventare,
capisci? Tu vuoi trascorrere il resto della vita intrappolata nelle tue paure?
Va bene. Oppure puoi affrontarle: lanciarti nel vuoto e guardare che succede.”
(cit.)
“Si dice che “senza il rischio non ci sia una ricompensa”.
Forse c'è qualcosa in più di questo. Senza il rischio, non c'è alcuna
esplorazione, alcuna scoperta, alcun piacere, alcuna felicità. Quindi non
sprecate altro tempo. Correte un rischio e scoprite che comporta.” (cit.)
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