mercoledì 4 aprile 2012

... il Lupo è tornato.


Ormai guido il mio fuoristrada da un paio di ore e sono all’attacco delle mie amate montagne.
No, non ho un SUV, macchina da fighetti. Ma un fuoristrada vero, da ammaccare, che non si spaventa se s’infanga o se fa un paio di “sponde” giù per un ghiaione.
E un po’ come un mustang per un Cowboy… Un compagno. Che non ti abbandona se lo sai ascoltare. E che ti toglie dai casini, molto spesso.
E poi mi ricorda di quando eravamo su, al Maniago, con Silvio. Quante cose abbiamo fatto insieme.
Sono quasi al punto da cui partirò. Il mio sguardo osserva attento ciò che mi circonda. Mi sento finalmente a casa. E penso…  "dovrò vivere tutta la vita in “trasferta”, in qualche puzzolente e nevrotica città?".
Non sono nato in montagna, ne ci sono andato da bambino.
E’ stato amore a prima vista, però. Avevo 21 anni. E un mio amico mi ha portato a Madonna di Campiglio. Boschi incredibili… 
Appena arrivato, sono scappato. Via. Senza pensare. Dentro quella cosa verde che mi chiamava.

Sei ore dopo ho rivisto, alla baita, gli occhi un po’ preoccupati del mio amico… “Dove cazzo sei andato?” E io…. “Li dentro. E’ …. incredibile, meraviglioso…”  
“E se ti perdevi?” Mi chiede. Io lo guardo fisso e sereno: “io non mi perdo”. 
In tutte le sei ore in cui ho camminato, sono stato seduto, ho guardato intorno a me, non un secondo ho avuto la sensazione di sentirmi “perso”.
Mi sentivo a casa. Casa. Mia. L’erba. Il dondolare lento degli alberi che si flettono piano ai colpi di vento. Il muoversi furtivo di qualche animale nel sottobosco. Il volare maestoso di una poiana. “Non mi perdo nemmeno nel basso Polesine, perché dovrei perdermi qui?” pensai, sereno.
In effetti non mi sono mai perso. In 20 anni di guida naturalistica, non è mai successo che non abbia saputo dov’ero. A parte una sola unica e incredibile volta. Ma è un’altra storia, questa. 

Ormai sono pronto. Scarponi, zainetto, bastone. Via. Si va.
Piano. Voglio sentire il terreno. Voglio educare i miei passi. Non voglio far troppo rumore.  Tutti i percorsi hanno regole. Un sentiero in montagna ha le sue. E le impari, in fretta. La montagna è un insegnante severo.
Per me camminare in un bosco è ritornare a essere. Il silenzio. Le emozioni. I pensieri che piano piano rallentano… e tornano ad una velocità sostenibile.

David Linvingstone, durante le sue infruttuose ricerche delle sorgenti del Nilo, all’inizio della sua ricerca obbligò a marce veloci i suoi portatori. 
Un giorno, nei pressi del Lago Vittoria, svegliatosi di buona mattina, chiese agli uomini di prepararsi in fretta per ripartire. Ma i portatori si rifiutarono. Interrogati da un interprete, risposero. “Stiamo aspettando la nostra ombra: abbiamo viaggiato troppo velocemente e l’abbiamo lasciata indietro.”

Ogni viaggio, anche la più semplice passeggiata ha il suo tempo. La necessità dei sensi di percepire, orientarsi, riconoscere, capire. Oltre il parlato o il materiale, ma nel campo del sentire.
Camminare mi aiuta nell’esercizio di ri - imparare ad ascoltare. Me e ciò che ho intorno.

Cammino da due ore ormai. Penso che nell’ultimo mese, non mi è mai capitato di stare in silenzio così tanto. Mi serviva. Mi fermo. Mi guardo intorno. Penso che potrei stare fuori due giorni come qualche ora. Vedremo. Annuso l’aria. Vedo poco cielo e tanti alberi, ma non vedo le nuvole. 
Non dovrebbe piovere. Sono fortunato. Per ora.
Riparto. Verso il verde, verso la cima. So che tornerò. Prima o poi.

3 commenti:

  1. http://blunord.blogspot.it/ CIAO VECCHIO LUPO
    CAPITAN HARLOCK

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  2. “Stiamo aspettando la nostra ombra: abbiamo viaggiato troppo velocemente e l’abbiamo lasciata indietro.”

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  3. ... concetto profondo, non credi? Tipico di chi conosce la vita, senza necessariamente far parte del "popolo evoluto"....

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