venerdì 25 maggio 2012

Hagakure



Giappone.  1800.
Imagawa Yoshimoto, un Samurai.
Un uomo robusto, di 32 anni e di nobile aspetto, entrò nella sala nel suo abito da cerimonia, con le caratteristiche maniche di canapa che vengono indossate solo nelle grandi occasioni.
Assieme a lui lo seguivano il suo kaishaku e tre ufficiali del piccolo ma tenace esercito di Suruga.
Avanza nella sala fiero e volge uno sguardo di saluto, senza tradire alcuna emozione, alle persone sedute, che ricambiano con un veloce cenno della testa, un “si” per noi occidentali.
Poi, dolce per un solo attimo, verso la sua compagna. E senza paura verso il suo figlio più giovane.
Si inginocchia sul drappo rosso preparato per lui. Alla sua sinistra si inginocchia il suo kaishasu.
L’atmosfera della sala è estremamente solenne.
La cerimonia che seguirà sarà definitiva.

2 anni prima.
Yoshimoto era al servizio del padrone Kihei godeva del rispetto e del timore di tutta la gente del villaggio di Suruga. Aveva moglie e due figli.
Il primogenito, Ahimo, saldo come roccia era al servizio del suo padrone e si occupava del commercio e delle finanze del piccolo feudo.
Il più giovane, Jungwei, invece, voleva seguire la via del padre. Il Bushido.
Un giorno, a metà del mattino, il Signore del villaggio manda a chiamare il suo primo Samurai.
Un fatto grave gli deve essere comunicato. 
Gli viene chiesto di indagare su alcune incresciose sparizioni di merci e beni. E di farlo insieme al figlio, che, interrogato sembra non aver risposte convincenti.
L’indagine non dura molto.
Yoshimoto è uomo di intelligenza acuta e dalla logica stringente.
E i fatti parlano.
La “saldezza” di Ahimo viene meno.
Il figlio con altri cinque complici trama con un villaggio vicino per impadronirsi delle ricchezze di Suruga. La serpe è sempre dentro.
Quello che di più caro ha il Samurai viene così insozzato, infangato. Non è un problema restituire il maltolto. Non sono poveri.
Ma restituire l’onore, quella è un’altra cosa.
Non si può.
L’unico gesto per una cultura che fa dell’onore uno dei suoi pilastri si chiama Seppuku.

La lama del Wakizashi (detto anche "guardiano dell'onore) entra nel ventre, dal lato sinistro e lo lede irreversibilmente con un taglio continuo fino al lato destro. Arrivata a fine corsa con due colpi successivi la lama viene fatta ruotare di 45 ° con il taglio verso l’alto e poi spinta su tutta il lato destro affinché la ferita non sia più rimarginabile. Contemporaneamente il kaishasu balza in piedi sguainando e facendo roteare nell’aria la su Katana. Con un colpo secco decapita il Samurai. Prima che il terrore e la disperazione ne possano alterare i lineamenti.

Un piccolo furto, una macchia immensa e indelebile nell’onore.
Onore.
Oggi suona molto spesso come una parola vuota.
Non spero che ritornino i Samurai. O che la gente studi l’Hagakure. O che pratichi il Bushido.
Ma essere uomini (o donne) credo possa significare cercare un po’ di onore nelle scelte, anche banali, che ogni giorno cerchiamo di affrontare al meglio.
Per noi e anche verso quelle persone che su questo concetto dovrebbero essere scolpite, ma che ogni giorno ci dimostrano ineluttabilmente la loro fragilità di uomini piccoli.   
Senza onore.

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