Giappone. 1800.
Imagawa
Yoshimoto, un Samurai.
Un uomo
robusto, di 32 anni e di nobile aspetto, entrò nella sala nel suo abito da
cerimonia, con le caratteristiche maniche di canapa che vengono indossate solo
nelle grandi occasioni.
Assieme a
lui lo seguivano il suo kaishaku e tre ufficiali del piccolo ma tenace esercito
di Suruga.
Avanza nella
sala fiero e volge uno sguardo di saluto, senza tradire alcuna emozione, alle
persone sedute, che ricambiano con un veloce cenno della testa, un “si” per noi
occidentali.
Poi, dolce
per un solo attimo, verso la sua compagna. E senza paura verso il suo figlio più giovane.
Si
inginocchia sul drappo rosso preparato per lui. Alla sua sinistra si
inginocchia il suo kaishasu.
L’atmosfera
della sala è estremamente solenne.
La cerimonia
che seguirà sarà definitiva.
2 anni
prima.
Yoshimoto era al servizio
del padrone Kihei godeva del rispetto e del timore di tutta la gente del
villaggio di Suruga.
Aveva moglie e due figli.
Il
primogenito, Ahimo, saldo come roccia era al servizio del suo padrone e si
occupava del commercio e delle finanze del piccolo feudo.
Il più
giovane, Jungwei, invece, voleva seguire la via del padre. Il Bushido.
Un giorno, a
metà del mattino, il Signore del villaggio manda a chiamare il suo primo
Samurai.
Un fatto
grave gli deve essere comunicato.
Gli viene chiesto di indagare su alcune
incresciose sparizioni di merci e beni. E di farlo insieme al figlio, che,
interrogato sembra non aver risposte convincenti.
L’indagine
non dura molto.
Yoshimoto è
uomo di intelligenza acuta e dalla logica stringente.
E i fatti
parlano.
La
“saldezza” di Ahimo viene meno.
Il figlio con
altri cinque complici trama con un villaggio vicino per impadronirsi delle
ricchezze di Suruga. La serpe è sempre dentro.
Quello che
di più caro ha il Samurai viene così insozzato, infangato. Non è un problema
restituire il maltolto. Non sono poveri.
Ma
restituire l’onore, quella è un’altra cosa.
Non si può.
L’unico
gesto per una cultura che fa dell’onore uno dei suoi pilastri si chiama
Seppuku.
La lama del
Wakizashi (detto anche "guardiano dell'onore) entra nel ventre, dal lato sinistro e lo lede irreversibilmente con un
taglio continuo fino al lato destro. Arrivata a fine corsa con due colpi
successivi la lama viene fatta ruotare di 45 ° con il taglio verso l’alto e poi
spinta su tutta il lato destro affinché la ferita non sia più rimarginabile.
Contemporaneamente il kaishasu balza in piedi sguainando e facendo roteare
nell’aria la su Katana. Con un colpo secco decapita il Samurai. Prima che il
terrore e la disperazione ne possano alterare i lineamenti.
Un piccolo
furto, una macchia immensa e indelebile nell’onore.
Onore.
Oggi suona
molto spesso come una parola vuota.
Non spero
che ritornino i Samurai. O che la gente studi l’Hagakure. O che pratichi il
Bushido.
Ma essere
uomini (o donne) credo possa significare cercare un po’ di onore nelle scelte,
anche banali, che ogni giorno cerchiamo di affrontare al meglio.
Per noi e
anche verso quelle persone che su questo concetto dovrebbero essere scolpite,
ma che ogni giorno ci dimostrano ineluttabilmente la loro fragilità di uomini
piccoli.
Senza onore.
Nessun commento:
Posta un commento