Vento che Corre era della tribu dei Cree.
Anzi fra di loro si chiamavano Eithinyoowuc, ossia “Uomini” .
Aveva uno spirito solitario e allegro, amava vivere da solo
nei boschi della Baia di Hudson.
Da solo e a volte con la sua compagna, Stella che ride, e la sua
piccola.
Ma anche da solo libero di girare dove più gli aggradava.
Vivevano in una via di mezzo fra una capanna ed una casa, da lui costruita, come aveva
imparato da alcuni esploratori e cacciatori di pelle che aveva incontrato nel
suo girovagare.
Era un periodo felice.
Anche se era poco disponibile a stare
con la sua compagna quanto lei avrebbe voluto.
E fra un giro di caccia e l’altro, il tempo nel suo rifugio
scorreva sereno.
Fino ad un giorno.
Aveva tardato qualche giorno, nulla di preoccupante.
A volte per inseguire un cervo, capitava.
Ma quello che vide gli gelò il sangue. Un orso.
Probabilmente un grizzly aveva attaccato il suo rifugio.
Paralizzato dal terrore cadde in ginocchio davanti
all’entrata urlando il nome della compagna e della figlia.
Non aveva il coraggio di entrare e di guardare.
Dopo aver seppellito quel che rimaneva di Stella che ride
e di Luce di luna restò li un giorno intero, sino a che la rabbia ed il
desiderio di vendetta non divamparono nel suo animo.
Raccolse arco e frecce.
Bruciò la casa e si mise a seguire le tracce del grizzly che
aveva distrutto la sua felicità.
Ti troverò.
Era diventato foglia tra le foglie, silenzioso e veloce come
un felino, implacabile come un lupo.
Inseguì le tracce per quasi una luna.
E finalmente una notte prima dell’imbrunire, fra il
sottobosco, vicino alla parete della montagna, ne intravide la sagoma scura,
arrotondata, accovacciata.
Era li.
Ne era certo.
Prese la freccia. Con movimenti leggeri e la caricò
nell’arco.
Un’ondata di furore lo pervase, ma non si fece dominare.
Concentrò tutto il suo essere sulla freccia. E sul
bersaglio.
E scoccò il dardo portatore della sua vendetta.
Silenzio.
Con un sibillio sinistro la freccia percorse il tratto che
la separava dal bersaglio, centrandolo.
Nessun lamento.
Come mai si chiese?
Caricò un’altra freccia. E si avvicinò.
Non era l’orso. Ma una roccia. Caduta dalla montagna, forse.
Con del muschio sopra. La penombra dell’imbrunire aveva fatto il resto.
L’orso c’era stato. Ma se ne era andato
parecchio tempo prima.
Sta per lasciarsi andare allo sconforto quando vede una cosa
senza spiegazione.
La sua freccia, con la punta di selce e con l’asta di legno,
era entrata nella roccia per più di metà della sua lunghezza.
Inaudito.
Impossibile. Ma reale davanti ai suoi occhi. Rise in maniera disperata.
Non riuscì mai più a conficcare una freccia nella roccia.
Le tribù vicino narrano la leggenda di Vento che Corre, che
pazzo di dolore vagava di villaggio in villaggio, elemosinando cibo e vantandosi di aver tagliato la
dura roccia con la piccola freccia.
Mi ha fatto riflettere, bello e per niente scontato. Ci penso e poi ti rispondo meglio.
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