domenica 17 giugno 2012

the Soul of Basket


Arrotolo con cura il salva pelle, un giro solo perché costa un sacco.
Ho giù preparato le strisce di nastro, e sono pronto a procedere nel rito della fasciatura delle mie povere caviglie. Poche volte mi sono chiesto come si comporteranno domani, quando smetterò. 
Oggi devono tenere.  Quindi… sotto con la fasciatura.
I miei compagni stanno arrivando ora, ma io sono praticamente già pronto.

Per me è un rito. C’è una sorta di sacralità, per me, nell’entrare in campo. 
A luci ancora spente, senza spettatori, prima che la bolgia e l’adrenalina alterino le tue percezioni.
Ho bisogno di sentire l’attrito della mia mano sul pallone, lo stridio delle mie scarpe sul parquet, il rumore unico (e portatore di assuefazione e dipendenza) della retina che accoglie il pallone, rallentandolo un poco prima della caduta.
Muovo i primi passi, corro piano, la tensione pre partita se ne va, provo solo divertimento. E determinazione.

Un giocatore mitico e per sempre mio idolo, prima della partita, con il suo sorriso unico, diceva “showtime !!!” , anche se per lui (come per me) era importante mettere tutto nella “sfida” e poi…  se si poteva, se ci si riusciva…  vincere. Battendo prima se stessi e i propri limiti e poi gli altri, attraverso i loro limiti.  Voglio giocare così, con questo spirito.

Siamo tutti ormai, Jack, Gazzingher, Gigi, Leo, Tony, e gli altri.
Ci riscaldiamo in silenzio, lanciandoci sguardi di intesa, che parlano più di mille parole.

Agli ordini del “comandante” di questa ciurma, il ritmo si fa inteso, i movimenti sempre più forti e veloci, alziamo la precisione e con essa la determinazione.
Di la della linea di metà campo una brutta “gatta da pelare”: sono 10, ma tutti molto tosti e ruvidi in difesa. E poi ne hanno un paio a cui sarebbe meglio tagliare le mani, … che tiratori, ragazzi.
Ma queste sono le partite che io e i miei compagni vogliamo giocare.
Dentro o fuori. Loro o noi. Nessuna replica, ultimo spettacolo, ultima chance.

Palla due…. Si inzia. È nostra. Buon “segno”. Quando la scaramanzia è scienza. Sorrido e corro.

La partita vive i suoi momenti e come un mare è fatta a onde. Ora ti favorisce, ora ti sembra di essere in salita. I tecnici la chiamano “inerzia”. Tu che giochi da tempo la conosci bene. E sai che quando si fa fatica conta solo il semplice e l’essenziale. In attesa che la partita torni da te.
E se non lo fa, la vai a prendere. Invitandola.

Mi hanno messo un troglodita mastino a difendermi.
Questo buzzurro è duro come un sasso e picchia duro. 
Mi sta lontano. Sa che se me ne da l’occasione lo lascio li. A guardarmi mentre entro.
Siccome mi da spazio, lavoro per i compagni e, poco all’inizio, ma in un crescendo mi prendo i miei tiri. 
Non sono un fromboliere… ma i primi tre li ho messi. 
Infatti ora sento l’odore del suo sudore. Si è avvicinato, il mio mastino.
Aspetto che sia il mio turno. Il mio momento. Ce ne sono tanti in un match. 
Devi solo imparare a riconoscerli e ad affrontarli, con presenza, attenzione e responsabilità. Ma soprattutto, giocando.

Il coach chiama Timeout. Ne vuole parlare. Dice poche cose. Chiare. Semplici. Lo ammiro. E mi fido. “Ehi, ho bisogno che cominci ad entrare. Devono stare attenti a te. Ci sei?”
Gli sorrido,  e alzando il pollice del pugno sinistro chiuso, lo rassicuro. Girandogli le spalle, mi sistemo la maglia e torno nella bolgia.

Un secondo prima di cominciare, facciamo gruppo in campo. Un attimo. Ancora intesa e sguardi di approvazione e fiducia. Ora li spacchiamo.

Taglio. Da destra a sinistra… il mio difensore è un po’ stanco e reagisce un attimo dopo. Gambe alte. Tony vede. Ricevo. Finto subito un tiro per valutare la reazione.  Reagisce il mastino.
“sei ancora qui, eh?” penso.
E’ un attimo. Si distrae, a causa di jack che finta un blocco sul suo lato sinistro. Gira la testa e per resistere al contatto porta il suo peso sulla sua gamba destra. Ora sei mio!!
Mi abbasso come un felino che attacca e incrocio profondo a sinistra, lo passo… ma manca ancora per arrivare. Allora mentre palleggio cambio passo e affondo di nuovo il passo destro (l’ho visto fare a un giocatore russo, così arrivo diritto e in equilibrio sotto canestro) di nuovo palleggio e primo passo del terzo tempo ancora di sinistro, ma stringendo ancora la curva. Destro e vado su. Mentre salgo lo vedo arrivare per fermarmi.
In volo cambio mano e tiro la palla con la destra invece che con la sinistra, dove punta il mio avversario, passando dietro alle sue mani protese. La palla non tocca nulla se non la retina: mio premio è il rumore del “ciof”.

Atterro e recupero in difesa. Jack che corre all’indietro mi da un “highfive”.
“Bel numero… ma io l’avrei appoggiata al tabellone, magari era più sicuro, no?”
Ed io “E dove pensi abbia mirato?” Ridiamo. Pronti alla prossima azione.

Alle volte sognavo che le partite finissero solo quando tutti i giocatori erano esausti.  E non allo scadere del tempo. Quei momenti di intesa, di fatica, di scelte condivise e uguali, fatte insieme nello stesso momento, sono unici. 
Ti fanno sentire parte di qualcosa. 
Ti fanno sentire compreso, capito. 
Cose uniche, che poi ricerchi, anche in altri ambiti, nella partita che si chiama vita.  

2 commenti:

  1. Questo è uno di quei racconti su cui dobbiamo assolutamente lavorare! Che dici?

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  2. ... speravo lo dicessi. ;-) Absolutly yes!

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