Arrotolo con cura il salva pelle, un giro solo perché costa
un sacco.
Ho giù preparato le strisce di nastro, e sono pronto a
procedere nel rito della fasciatura delle mie povere caviglie. Poche volte mi
sono chiesto come si comporteranno domani, quando smetterò.
Oggi devono
tenere. Quindi… sotto con la
fasciatura.
I miei compagni stanno arrivando ora, ma io sono
praticamente già pronto.
Per me è un rito. C’è una sorta di sacralità, per me, nell’entrare in
campo.
A luci ancora spente, senza spettatori, prima che la bolgia e
l’adrenalina alterino le tue percezioni.
Ho bisogno di sentire l’attrito della mia mano sul pallone,
lo stridio delle mie scarpe sul parquet, il rumore unico (e portatore di
assuefazione e dipendenza) della retina che accoglie il pallone, rallentandolo
un poco prima della caduta.
Muovo i primi passi, corro piano, la tensione pre partita se
ne va, provo solo divertimento. E determinazione.
Un giocatore mitico e per sempre mio idolo, prima della
partita, con il suo sorriso unico, diceva “showtime !!!” , anche se per
lui (come per me) era importante mettere tutto nella “sfida” e poi… se si poteva, se ci si riusciva… vincere. Battendo prima se stessi e i
propri limiti e poi gli altri, attraverso i loro limiti. Voglio giocare così, con questo spirito.
Siamo tutti ormai, Jack, Gazzingher, Gigi, Leo, Tony, e gli
altri.
Ci riscaldiamo in silenzio, lanciandoci sguardi di intesa,
che parlano più di mille parole.
Agli ordini del “comandante” di questa ciurma, il ritmo si fa
inteso, i movimenti sempre più forti e veloci, alziamo la precisione e con essa
la determinazione.
Di la della linea di metà campo una brutta “gatta da pelare”: sono 10, ma tutti molto
tosti e ruvidi in difesa. E poi ne hanno un paio a cui sarebbe meglio tagliare
le mani, … che tiratori, ragazzi.
Ma queste sono le partite che io e i miei compagni vogliamo
giocare.
Dentro o fuori. Loro o noi. Nessuna replica, ultimo
spettacolo, ultima chance.
Palla due…. Si inzia. È nostra. Buon “segno”. Quando la
scaramanzia è scienza. Sorrido e corro.
La partita vive i suoi momenti e come un mare è fatta a
onde. Ora ti favorisce, ora ti sembra di essere in salita. I tecnici la chiamano
“inerzia”. Tu che giochi da tempo la conosci bene. E sai che quando si fa
fatica conta solo il semplice e l’essenziale. In attesa che la partita torni da
te.
E se non lo fa, la vai a prendere. Invitandola.
Mi hanno messo un troglodita mastino a difendermi.
Questo buzzurro è
duro come un sasso e picchia duro.
Mi sta lontano. Sa che se me ne da
l’occasione lo lascio li. A guardarmi mentre entro.
Siccome mi da spazio, lavoro per i compagni e, poco
all’inizio, ma in un crescendo mi prendo i miei tiri.
Non sono un fromboliere…
ma i primi tre li ho messi.
Infatti ora sento l’odore del suo sudore. Si è
avvicinato, il mio mastino.
Aspetto che sia il mio turno. Il mio momento. Ce ne sono
tanti in un match.
Devi solo imparare a riconoscerli e ad affrontarli, con
presenza, attenzione e responsabilità. Ma soprattutto, giocando.
Il coach chiama Timeout. Ne vuole parlare. Dice poche cose.
Chiare. Semplici. Lo ammiro. E mi fido. “Ehi, ho bisogno che cominci ad
entrare. Devono stare attenti a te. Ci sei?”
Gli sorrido, e
alzando il pollice del pugno sinistro chiuso, lo rassicuro. Girandogli le
spalle, mi sistemo la maglia e torno nella bolgia.
Un secondo prima di cominciare, facciamo gruppo in campo. Un
attimo. Ancora intesa e sguardi di approvazione e fiducia. Ora li spacchiamo.
Taglio. Da destra a sinistra… il mio difensore è un po’
stanco e reagisce un attimo dopo. Gambe alte. Tony vede. Ricevo. Finto subito
un tiro per valutare la reazione.
Reagisce il mastino.
“sei ancora qui, eh?” penso.
E’ un attimo. Si distrae, a causa di jack che finta un
blocco sul suo lato sinistro. Gira la testa e per resistere al contatto porta
il suo peso sulla sua gamba destra. Ora sei mio!!
Mi abbasso come un felino che attacca e incrocio profondo a
sinistra, lo passo… ma manca ancora per arrivare. Allora mentre palleggio
cambio passo e affondo di nuovo il passo destro (l’ho visto fare a un giocatore
russo, così arrivo diritto e in equilibrio sotto canestro) di nuovo palleggio e
primo passo del terzo tempo ancora di sinistro, ma stringendo ancora la curva.
Destro e vado su. Mentre salgo lo vedo arrivare per fermarmi.
In volo cambio mano e tiro la palla con la destra invece che
con la sinistra, dove punta il mio avversario, passando dietro alle sue mani
protese. La palla non tocca nulla se non la retina: mio premio è il rumore del “ciof”.
Atterro e recupero in difesa. Jack che corre all’indietro mi
da un “highfive”.
“Bel numero… ma io
l’avrei appoggiata al tabellone, magari era più sicuro, no?”
Ed io “E dove pensi abbia mirato?” Ridiamo. Pronti alla
prossima azione.
Alle volte sognavo che le partite finissero solo quando
tutti i giocatori erano esausti. E
non allo scadere del tempo. Quei momenti di intesa, di fatica, di scelte condivise e
uguali, fatte insieme nello stesso momento, sono unici.
Ti fanno sentire parte
di qualcosa.
Ti fanno sentire compreso, capito.
Cose uniche, che poi ricerchi,
anche in altri ambiti, nella partita che si chiama vita.
Questo è uno di quei racconti su cui dobbiamo assolutamente lavorare! Che dici?
RispondiElimina... speravo lo dicessi. ;-) Absolutly yes!
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